Chiudere gli occhi per immaginare se il clamore suscitato dal caso Ferragni fosse stato quello di una notizia positiva

Chiudere gli occhi per immaginare se il clamore suscitato dal caso Ferragni fosse stato quello di una notizia positiva

Anche se da poche ore giornali e social hanno annunciato un nuovo post di Chiara Ferragni nel tentativo di recuperare la credibilità perduta, l’onda lunga della vicenda segnerà per sempre questa carriera che sembrava inarrestabile.

Proviamo però a immaginare quale ritorno reputazionale avrebbe potuto generare una notizia positiva che avesse raggiunto la stessa visibilità su tutti i media di informazione che per due settimane hanno continuato a parlare del caso e i social a riprenderli e commentarli.

La vicenda Ferragni è riuscita in modo semplice ed efficace a spiegare a tutti, aziende comprese, cos’è la reputazione e come la si costruisce davvero.

Purtroppo l’imprenditrice digitale in questione la reputazione l’ha persa, ma questa sua performance finalmente ha fatto capire che c’è una bella differenza tra reputazione e notorietà, tra contenuto credibile e semplice apparenza, o se vogliamo, in un contesto più di marketing, tra brand awareness e reputazione aziendale.

Il pudore che richiede la reputazione

Umberto Eco del 2012 analizzava il concetto di reputazione in una sua rubrica Bustina di Minerva sull’Espresso del 2012 “ … da tempo il concetto di reputazione ha ceduto il posto a quello di notorietà. Conta essere “riconosciuto” dai propri simili, ma non nel senso del riconoscimento come stima o premio, bensì in quello più banale per cui, vedendoti per strada, gli altri possano dire “guarda, è proprio lui”. Il valore predominante è diventato l’apparire… Ora questa frenesia nasce dalla perdita della vergogna. L’essere visto, l’essere oggetto di discorso è valore talmente dominante che si è pronti a rinunciare a quello che un tempo si chiamava il pudore”.

Il crollo reputazionale della Ferragni ha portato a una perdita comunque ancora contenuta di followers, si parla sino ad oggi di circa 150.000, una goccia rispetto ai quasi 30 milioni di seguaci della pagina, ma le aziende stanno iniziando a mettere in dubbio le collaborazioni con l’influencer e mi viene da pensare che Safilo sia la prima di una lunga serie.

Come si costruisce davvero la reputazione

La costruzione della reputazione aziendale dipende innanzitutto dai comportamenti e dalle azioni concrete di un’azienda.

Anche la comunicazione pubblicitaria (dall’advertising, al sito, al blog, alla gestione dei canali social proprietari) concorre alla reputazione aziendale, ma va da sé che, proprio perché “a pagamento” e gestita direttamente dall’azienda, ha una credibilità contenuta.

E’ la cosiddetta comunicazione terziaria, basata sulle relazioni, che rimane il veicolo più potente quando parliamo di reputazione, (sia positiva sia negativa), e comprende tutti i messaggi diffusi da fonti indipendenti dall’azienda.

Quindi opinioni non controllate dall’azienda ma diffuse da tutti i soggetti ad essa collegati, come i dipendenti, i clienti, gli opinion leader, ma soprattutto attraverso i media che hanno un ruolo fondamentale nella formazione dell’opinione pubblica, nella creazione della percezione della realtà e nello sviluppo della reputazione delle imprese, perché nascono con il ruolo di intermediari e fonte di contenuti qualificati.

Il caso Ferragni è una storia, purtroppo per lei negativa, ma che mette comunque ben in evidenza il processo di creazione della reputazione, negativa o positiva che sia, che è sempre lo stesso. Tutto parte da un contenuto qualificato che si è trasformato in una multa colossale per l’influencer e per l’azienda. Una giornalista ha indagato sulla vicenda interpellando diverse fonti, questo ha spinto un’associazione di consumatori a fare un esposto all’AGCM che si è poi trasformato in una multa per l’influencer e per l’azienda. 

Ma il bello di tutta questa brutta vicenda è che i media di informazione hanno dimostrato tutta la loro potenza di fuoco, parlando dei vari aspetti della vicenda per intere settimane, superando di gran lunga il volume dei commenti social (tra l’altro spesso alimentati proprio dal repost di articoli). La notizia è apparsa nei TG nazionali e tutti i maggiori quotidiani hanno dedicato intere pagine agli sviluppi della vicenda. 

Tra reputazione e notorietà, le aziende non hanno scelta. Alla prima non si puo’ mai rinunciare. Ma visti i guai a cui grandi realtà come Balocco sono incappate serve un cambio di prospettiva. 

A questo proposito mi è venuto in mente il giallo giudiziario “Momento di uccidere” del 1996 in cui l’avvocato difensore, nell’arringa finale, per convincere una giuria avversa alle vicende che riguardavano lo stupro subito da una ragazzina di colore, invita tutti a chiudere gli occhi e immaginarsi cosa avrebbero pensato se la ragazzina fosse stata di pelle bianca riuscendo così a ribaltare il verdetto.

E quindi torno a ripetere: immaginiamoci quale ritorno reputazionale avrebbe potuto generare una notizia positiva che avesse raggiunto la stessa visibilità su tutti questi media di informazione.

Roberto Gazzini